
Ieri mattina, nella splendida ambientazione retrò del MIV- Multisala Impero – squisitamente messa a disposizione dal patron Andrea Cervini, ho partecipato ad una matinée interamente consacrata alla Storia della Città Giardino. Ad ideare lo splendido e insolito convegno, gli amici della Varese Nascosta ai quali va il mio plauso sincero ed affettuoso sia per l’impresa non certo facile (di questi tempi, poi!) di attrarre un folto pubblico (la sala era gremita) con l’argomento storico, ma soprattutto per l’armonioso allestimento, che ha saputo essere accattivante sotto ogni aspetto.

Subiectum, la proiezione di un filmato (muto) d’epoca di una dozzina di minuti riguardante un matrimonio celebrato a Villa Toeplitz esattamente novant’anni or sono, il 14 maggio del 1932: a sposarsi, nell’incantevole cornice dei giardini voluti da donna Edvige, la nipote Rysia Toeplitz con Federico Consolo.
Non vi faccio il resoconto della mattinata e nemmeno dei moltissimi sponsor, che trovate diffusamente sulla stampa varesina. Mi interessa piuttosto descrivere l’evento secondo il mio personale estro, di ricercatrice in primis: non vi nascondo che il ritrovamento d’archivio di Paolo Musajo Somma di Galesano, l’artefice della scoperta d’archivio, mi ha emozionata e entusiasmata sin da quando è stato reso noto sui social.

Paolo, recentemente promosso alla presidenza del direttivo della Varese Nascosta, associazione che si occupa di divulgazione storica locale principalmente attraverso i social (l’omonimo gruppo Facebook, che conta 25mila iscritti, nasce nell’agosto del 2015 da un’idea di Luigi Manco e l’indimenticato Andrea Badoglio, ma la narrazione prosegue anche su Youtube, Tiktok e Instagram), qualche tempo fa ha scovato, nell’archivio della Fondazione Cineteca Italiana, un’autentica chicca che racconta il lontano sì dei due altolocati sposini in un mattino festoso che rivive sullo schermo nei volti, nell’eleganza varesina e nel contesto architettonico e botanico dell’epoca.
Per me e per la mia compagnia è stato un autentico tuffo nel passato, condito dal piacere di ritrovarsi finalmente, dopo due anni bui, in un contesto lieto, privo di angosce e socialmente e culturalmente stimolante. Ero presente alla proiezione con il professor Renzo Talamona, mio magister di ricerca e grandissimo e paterno amico (prometto di raccontarvi la sua storia, anzi le sue storie di pendolare pressoché quotidiano degli archivi fra Varese e Milano: ne rimarrete incantati), la deliziosa Caterina Cazzato, con la quale ho avviato un’interessante discussione sulla moda degli anni Trenta (la mia amica, di cui ricordiamo tutti l’eleganza innata nella recente campagna elettorale che l’aveva vista unico candidato sindaco donna al Municipio di Varese, mi ha rivelato di essere cresciuta in un atelier di moda!) e l’architetto appassionato di materia estense Franco Piana.

Veramente tutti notevoli, a detta della compagnia al completo, i relatori: personalmente affascinata dalla lettura di Marita Viola, vi dico che non vedo l’ora di leggere il libro che Alessandro Pellegatta ci ha rivelato di essere in procinto di pubblicare sulla figura dell’esploratrice Edvige Toeplitz, moglie del banchiere Giuseppe, e padrone di casa, di cui sta studiando i resoconti di viaggio inediti.

Tanta roba!, come direbbero i miei figli. Senza voler essere minimamente esaustiva nella relazione della mattinata (non potrei nemmeno volendolo, e non è questo lo scopo del presente commento), vi posso senza dubbio raccontare che non c’è stato un intervento noioso o fuori luogo: in particolare mi hanno colpito quello sulle automobili d’epoca di Beppe Macchi, presidente del VAMS (confesso: ho un debole per le Isotta Fraschini da quando ho riscoperto la figura di Filippo Tommaso Marinetti), la fine, puntuale e (ça va sans dire) veemente arringa di Daniele Zanzi intorno alle modificazioni agronomiche e ambientali di Villa Toeplitz occorse sino ai giorni presenti e infine il delicato e sapiente excursus sul paesaggio della Varese degli anni Trenta di Giuseppe Armocida.
Confesso di essermi emozionata in particolare sulle parole del presidente della Società Storica Varesina, che confermavano, in un vivido e dinamico affresco che correva di fronte ai miei occhi come fossi a guardare dal finestrino di un treno in corsa, il sentimento che avevo provato immaginando il viaggio di Flora verso le sue allieve del mattino. Ecco: io credo che il coinvolgimento emotivo per la storia varesina e le sue piccole storie sia stato in me veramente totale ieri mattina! E sono sicura che Flora fosse con me, seduta in qualche posto defilato, ad assaporare quei racconti e la proiezione di quel film, un matrimonio di cui si sarà sicuramente e lungamente favoleggiato in quel 1932 in cui andava e veniva da Milano abbigliata secondo il costume dell’epoca, sempre elegante e bellissima, i capelli ondulati e mori portati alle spalle, una spilla appuntata al cuore con un cameo, così come mi è stata descritta dall’ultima sua allieva rimasta a poterla raccontare: ed è l’unica descrizione che io possa ad oggi avere della fisicità della maestra di cui ho ritrovato i diari, ed è una cosa tanto più misteriosa se pensiamo che la documentazione iconografica di quell’epoca – ce lo ha dimostrato l’amico Paolo Musajo – è difficile da scovare, ma da qualche parte esiste ancora.

Due parole sugli sposi che non mi ricordo se siano state dette pubblicamente e quindi mi sono premurata di scovare dalle mie fonti personali, per la curiosità di conoscere meglio chi mi aveva invitata alla splendida cerimonia (tenutasi nella cappella gentilizia della villa suddetta). Rysia all’epoca del matrimonio con Federico aveva solamente 23 anni, essendo nata il 31 agosto del 1909: sarebbe morta a Milano vent’anni fa esatti, dopo una vedovanza trentennale dal suo amato Federico (spirato nel 1973). La meravigliosa mattinata – la giovane rampolla di casa Toeplitz, figlia di Luigi, fratello di Giuseppe, e il promettente chimico palermitano si erano sposati alle undici del mattino – sarebbe stata ovviamente immortalata negli atti del Comune di Varese: e io, lo confesso, che passo le giornate a meditare su queste scartoffie storiche e a dar loro un’anima, mi sono commossa.

A suggello della carrellata di interventi, agli invitati al matrimonio ritrovato è stata offerta la praticamente perfetta replica estetica e sostanziale della sontuosa torta nuziale a sette piani, che Rysia aveva tagliato con spada d’onore universitaria del consorte (e curiosamente gli invitati ne avrebbero partecipato a mani nude, secondo probabilmente una ritualità scaramantico-augurale dell’epoca a noi francamente ignota).


Un dolce magistralmente realizzato dai professori e dagli allievi degli ultimi anni dell’Istituto Alberghiero De Filippi secondo un attento studio filologico delle indicazioni dei ricettari e dell’arte pasticcera di novant’anni fa: il pandispagna – ho chiesto lumi alla prof! – proprio come si montava a spuma allora senza strumentazione e senza addizioni furbe di alcun tipo (oggi la tendenza è alveolarlo chimicamente) e la “bagna” rigorosamente liquorosa e fruttata, in melodioso connubio con la nuvola candida e freschissima di panna e fragole. Un dolce tagliato beneauguralmente dai futuri sposini Luigi e Stefania in una commovente staffetta con Rysia e Federico suggerita dal presentatore della giornata – il collega Matteo Inzaghi, grande amico di Luigi – e letteralmente divorato da tutti i presenti, benché ne sia rimasto abbastanza da poter essere condotto – mi ha confermato Paolo Musajo – alla mensa dei poveri gestita dalle suore di via Bernardino Luini: perché la gioia di una Varese ritrovata potesse essere condivisa veramente da tutti, anche chi assapora la dolcezza della vita molto meno sovente di tanti altri concittadini.



A conclusione di questa molto parziale relazione, vorrei fare un ultimo commento: come ci insegna la bionda, splendida e statuaria Paoletta Molinari, padrona di casa e volto iconico della Varese Nascosta, l’anima di Varese è femminile. Non dobbiamo dimenticarlo mai.