Oggi è la Festa della Mamma, e mi piace ricordare che sia stata proprio la mia prima lettrice, Maria Corvi, sei figli e la poesia nel cuore, a portarla a Varese a metà degli anni Cinquanta. La nostra amicizia nacque nel segno di un’intervista che le feci anni fa, quando la insignirono del premio della mamma varesina dell’anno. Lei era la storica fioraia di Varese e aveva la passione dei fiori e della lettura: aveva avuto fra le sue clienti più affezionate anche Liala, e mi diceva sempre che aveva ritrovato qualcosa della sua soavità nella mia penna.

“Probabilmente una delle prime vetrine in Italia, che pubblicizzavano la Festa della Mamma, appena nata” scriveva il 6 maggio 2016
Maria era una lettrice incallita del mio giornale, La Provincia di Varese, e non mancava mai di telefonarmi quando le era piaciuto particolarmente un mio pezzo, solitamente una storia o la rubrica di cucina del lunedì , che sovente le dedicavo: una volta, per il suo compleanno, l’avevo omaggiata a sorpresa della ricetta della torta delle rose, che era stata inventata per Isabella d’Este, madre di prole numerosa come Maria (e anche la scrivente). Cuoca provetta, oltre che di una simpatia e allegria uniche, era la matriarca induscussa del Corso, e confortava spesso i vicini e la parrocchia di san Vittore con le sue delizie, che consistevano il più delle volte in sontuosi vassoi di pasta religiosamente fatta a mano. E soprattutto era una gran lavoratrice: “Laura, non importa quanti figli hai: ma se provi passione per il tuo lavoro, non devi assolutamente rinunciare a farlo”. Aveva trascorso la vita dapprima aiutando papà Tagnocchetti nella gastronomia omonima, poi – una volta sposata – accudendo i suoi fiori e ricavandone composizioni colorate e bellissime, sempre aiutata dalla suocera – la prima fioraia storica a portare il cognome dei Corvi – con la quale, mi disse, aveva avuto un rapporto di straordinario affetto, come fosse stata una seconda mamma.

Così oggi, dopo la festa parrocchiale del Lazzaretto, sono corsa a salutare la mia Varese – noi dei quartieri periferici la pensiamo sempre un po’ separata e sospesa, il cuore di una città stellare insomma che pure è un unicum da quasi cento anni (la data fatidica, lo saprete tutti, è il 1927) – e ho pensato che essere mamma è davvero la cosa più bella, anche se chi ha la maternità come dimensione dell’anima sovente ha questo slancio di accudimento non solo verso i figli, ma tutto ciò che ama, e poi ad arrivare a coltivare sensi di colpa per non riuscire a fare bene tutto ciò che si vorrebbe fare è un attimo. A me succede spesso: vorrei prendermi cura di tante cose e persone, vorrei scrivere tutte le mie storie perché se mi hanno cercato significa che avevano bisogno di me, vorrei leggere tutti i libri che ho accumulato in libreria e sul comodino perché gli scrittori devono rivivere nel colloquio con i lettori di tutti i tempi e se hanno chiamato proprio me… eccetera, ma alla fine, quando mi corico la sera, mi sembra sempre di aver fatto il minimo indispensabile e sovente mi ritrovo a chiedermi che tipo di madre io sia, che tipo di moglie, amica, giornalista, scrittrice… stop.

Stop. Facciamo che vi saluto con un sorriso.

Ah, dimenticavo: i famosi fiori stamattina erano ancora nel medesimo posto, sul ciglio della strada, davanti a casa mia. Ed erano quasi praticamente intatti, perché aveva fatto freddo e aveva piovuto.
Mi sono detta: ma se fossero stati veramente per me?
Li ho raccolti e adesso Varese mi sorride da un vaso strano, che avevo trovato al mercatino tanto tempo fa.
Secondo me Maria avrebbe fatto la stessa cosa. Non avrebbe mai abbandonato in terra un mazzo di fiori. E lei, la prospettiva di un fiore, la conosceva benissimo.
Era davvero l’anima gentile di Varese la mia amica Maria. Ci penso da tempo: mi piacerebbe che in suo ricordo si istituisse un premio letterario, tutto varesino, di poesia floreale. Devo provare a suggerirlo a due amici: Davide Galimberti e Daniele Zanzi, così magari fanno pure pace. Perché avere un sindaco che tappezza Varese di aiole fiorite è bello (vedi quella di piazza Biroldi, o i gigli che stanno spuntando alle rotonde di Bizzozero e del Castello), ma avere Daniele alla cura del nostro patrimonio arboreo, l’oro verde come lui lo chiama, sarebbe più bello ancora, per far rinascere i Giardini come si meritano, e tanto altro ancora.

(Dedicato alla mia mamma Nina, prima lettrice ex aequo con Maria, pittrice di paesaggi, di Madonne e di fiori)