28 aprile 2022

In questi giorni, lettori affezionati, non ho molta voglia di scrivere: succede, è tipico di chi si interroga spesso sulle ragioni della sua scrittura e ha magari da arrovellarsi in questioni personali che lo distolgono dai propositi letterari. Ma non disperate: sono in cantiere tante belle e curiose notizie e la continuazione delle storie che ho impostato nei giorni prefestivi.
Oggi andrò quindi al sodo commentando la pagina odierna di Facebook del Ministero della Salute.


Fermo restando che non ho alcuna voglia di imbarcarmi in sterili e divisive polemiche pro vax e no vax (ho già dato in abbondanza nei tempi passati e non intendo cascarci ancora), volevo far notare a chi ci governa e crede di essere depositario del Verbo sull’argomento, che ci sarebbe una lieve (si fa per dire) dimenticanza nel post tematico del giorno: il varesino Luigi Sacco (Varese, 9 marzo 1769 – Milano, 26 dicembre 1836), che pace all’anima sua è stato colui che studiò il virus del vaiolo al mercato della Motta di Varese attraverso l’ispezione delle pustole comparse sulle vacche esposte a detto mercato, appunto: era il 1800, cifra tonda. Il dottor Sacco, cui è intitolata peraltro un’importante scuola elementare di Varese, anzi del quartiere di Belforte, proprio quello del castello del mio precedente articolo – poi un giorno vi racconto pure il perché della titolazione, confidando anche nel riscontro d’archivio della mia intuizione – fece qualcosa di inaudito: si inoculò il liquido estratto dalle pustole per autovaccinarsi: contratto il virus vaccino ne guarì e rimase immune al vaiolo umano. Dopo aver sperimentato su se stesso la pratica vaccinatoria la eseguì con successo sui bambini, che erano sempre state le vittime sacrificali di quel morbo che davvero poco scampo lasciava all’infanzia e non solo a quella. A questo punto lasciatemi ricordare qualche verso dell’ode del Parini L’educazione, che parla della guarigione di Carlo Imbonati allora undicenne da una grave malattia, probabilmente proprio il vaiolo: so che il Parini viene citato sempre per l’altra ode, L’innesto del vaiuolo, ma a me piace molto di più questa.
O mio tenero verso
Di chi parlando vai,
Che studj esser più terso
E polito che mai?
Parli del giovinetto
Mia cura e mio diletto?
Pur or cessò l’affanno
Del morbo ond’ei fu grave:
Oggi l’undecim’ anno
Gli porta il sol, soave
Scaldando con sua teda
I figliuoli di Leda.
Non ho molta voglia di scrivere, ribadisco, e quindi vi lascio con le vostre considerazioni sulla figura di Luigi Sacco, mio personale mito da molti anni e non sospetti facendovi fare un’autonoma ricerca sulle sue res et gesta in rete: sappiate solo che senza di lui, senza le sue scoperte, senza il suo perfezionamento della pratica del vaccino… senza Varese!, altro che eradicamento del vaiolo! Avevo detto che non avrei innescato micce, invece mi piace contraddirmi e quindi a voi la palla: oltre a rivoltarsi nella tomba (che non esiste più, per inciso, esattamente come quella del povero Parini) per quanto occorso e spacciato negli ultimi tempi, lui che da galantuomo non avrebbe mai utilizzato la sua scienza per dividere e opprimere ma solo per puro spirito di filantropia, non sarà doppiamente offeso dalla dimenticanza di cotanti senni al potere?