Il giorno della Passione

Cari lettori,

domani, finalmente, e sono davvero felice che in tanti la stiate aspettando – le maestre varesine in primis – pubblicherò una nuova puntata di Flora.

Oggi però è il giorno della Passione di Nostro Signore, giorno del silenzio e della meditazione. Anche Flora era molto pia, e – come vi raccontavo di recente – dopo essere tornata a Milano per quarant’anni volle essere sepolta in un piccolo camposanto varesino con la sola icona del Crocefisso di Giovanni Paolo II, tra l’altro di pregevole fattura, a sovrastare il bel monumento di granito rosso sempre adornato di fiori. Questa devozione verso il Pontefice dei Giovani, che condivido, mi ha commossa, giacché Flora è rimasta in vita sino al gennaio dell’86 – era nata nel 1899, ricorderete – e quindi visse e amò i primi anni di quel luminoso e ardente pontificato con la luce medesima dei tempi giovanili, riuscendo probabilmente a seguire il Santo Padre Karol Wojtyła sul Sacro Monte nella sua visita pastorale del 1984. Ma di questo parleremo più avanti.


Per oggi ho scelto un’immagine che mi è cara e che ho ritrovato recentemente in archivio storico comunale, dove mi reco settimanalmente a studiare (colgo l’occasione per salutare gli amici archivisti, Antonella, Maurizio e Andrea, che mi assistono sempre con una gentilezza e una perizia unici): si tratta dell’Uomo del Golgota disegnato dal canonico Carlo Castiglioni nell’ultima pagina della copia da lui fatta della Cronaca dell’Adamollo nel 1819 (Arch. St. Com. Va., Cat I cartella 14). Credo non sia necessario ricordarvi che l’Adamollo è stato uno dei massimi cronisti varesini, nato nel 1687: recuperando la cronaca del Giulio Tatto e passando poi a scrivere da testimone oculare, riportò la storia di Varese dagli anni compresi fra il 1575 e il 1745: a proseguire il suo lavoro fu un medico, il dott. Luigi Grossi, che la compilò sino al 1846. Ma dei cronisti varesini di epoche diverse dalla nostra, e ciononostante che tutti noi cronisti dovremmo conoscere e tesaurizzare, riparleremo in seguito.

Perché il sacerdote Castiglioni, originario di Carnago e appartenente alla Basilica di San Vittore, professore presso le scuole cittadine e studioso puntuale della storia di Varese (così ci racconta il Giampaolo, cui oggi faccio appello in quanto storico e mio nume personale) scelse proprio questo “logo” per firmarsi e per firmare la copia delle memorie di quei secoli che tanto lo avevano affascinato?
A mio giudizio volle interpretare il sentimento dell’uomo esposto a quei venti di cui già accennavo agli esordi di questo blog: il Cristo in croce è l’emblema dell’umanità in balia delle forze che vorrebbero dominarlo, del dolore, della disperazione, dell’angoscia di fronte all’ignoto che ci trascina contro il nostro volere. Negli anni in cui l’Impero napoleonico con i suoi regni cedevano verso il ripristino dello status ante, la grande incertezza politica preludente alla Restaurazione avrebbe recato in sé in realtà i germi di una nuova era e di una nuova coscienza nazionali. Erano gli anni, fra le altre cose, in cui si riscopriva il genio di Dante, obliato per tanti secoli: e chi più di lui scrisse, essendone stato esposto e pesantemente in prima persona, di venti devastatori e rapinosi, e della passione di Cristo, a partire dalle pagine di quel capolavoro assoluto, il primo libro della letteratura italiana, che è la Vita Nova, associandole alla sua ragione di vita poetica, a Beatrice? Chissà chi si ricorda il sogno premonitore della morte della sua donna, associato nelle immagini al venerdì di passione. La tempesta impetuosa, l’oscurità, le stelle che paiono piangere, gli uccelli che paiono cadere e morire dal cielo; il terremoto.

La seconda, iconica immagine a cui vorrei affidare queste poche righe di oggi è ancora varesina e ci riporta ad un secondo camposanto, non quello di Flora: si tratta del cimitero di Velate, ove riposano anche i miei nonni, e proprio di fronte ad una scrittrice a me particolarmente cara perché è stata colei che ha rivoluzionato – e proprio da Varese – la letteratura italiana popolare, nella declinazione del romanzo sentimentale: Liala. Di lei mi sono variamente occupata e a vario titolo; mi preme ricordarla oggi, affettuosamente, nel giorno della sua scomparsa – 15 aprile 1995 – perché nel giorno dei 125 dalla nascita (31 marzo) non è stato allestito nulla per ricordarla. Io vado spesso a trovare la nonna e anche lei: mi siedo sui gradini del suo bel monumento con un libro in mano e quietamente leggo e le parlo, e di tanto in tanto qualcuno mi vede, si ferma e mi chiede, e io rispondo suggerendo un libro. Anche Liala era molto pia e nel suo ultimo riposo – mi raccontava un’amica infermiera che l’aveva accudita alla Quiete sino all’ultimo respiro, Mariuccia di Belforte – si fece seppellire con un magnifico crocefisso avito fra le mani (la sua famiglia aveva un papa nei geni), rivolta verso la memoria della Torre da un lato e quella del Sacro Monte dall’altro, con l’immagine della Via Crucis. E per quel raro gioco di segni che pochi sappiamo cogliere, era legata ai medesimi luoghi cari che furono tali a Flora, di cui peraltro era pressoché coetanea.

A domani.

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