
Cari amici,
nelle poche ore trascorse da quando ieri pomeriggio ho dato vita a questo blog – che, come spiegavo, in realtà è la continuazione di un lavoro analogo iniziato su Facebook due anni or sono, e sospeso pro tempore, mi avete riempita di graditissimi riscontri in via privata. Ad essi vorrei rispondere puntualmente e lo farò, ve lo prometto, prossimamente, aggiungendo qualche riga più rappresentativa intorno alla poetica delle piccole cose e del giullare: oggi invece mi preme dar vita al mio primo personaggio e alla sua storia, che spero vi entrino nel cuore come da tempo sono entrati nel mio.
Flora – questo il suo nome di battesimo, nome vero e non di fantasia benché rispondente alla soave persona che dobbiamo immaginare e che è veramente stata – è una maestra elementare di tanti anni or sono.
Insegna alla De Amicis, la scuola di Valle Olona, negli anni Trenta del secolo scorso. Terminata da poco più di un decennio la Grande Guerra, con lei si era esaurito anche il colpo di coda dell’influenza spagnola, che si era innestata sui razionamenti alimentari e sulla carestia, prostrando la popolazione già messa a dura prova dagli eventi bellici e dalle innumerevoli perdite di giovani vite al fronte. Numerose malattie infettive – epidemie ripetute di morbillo in primis, ma anche l’influenza, la scarlattina e – non ultima – la tubercolosi – avevano ulteriormente angustiato la popolazione scolastica negli anni successivi: eppure, quando Flora viene chiamata a prendere servizio a Varese, è perché le classi delle scuole cittadine sono talmente numerose da arrivare alle sessanta unità, e urge sdoppiarle incrementando il numero dei docenti e allestendo con urgenza nuovi edifici scolastici di adeguate dimensioni.
E’ proprio in quegli anni che si va progettando la nuova De Amicis di via Aquileja, essendo la scuola ubicata nell’edificio costruito ai Ronchi negli anni Ottanta dell’Ottocento ormai verso l’esaurimento degli spazi e del suo compito (gravi con gli altri i problemi idraulici, di cui si legge nelle delibere di giunta di fine secolo). Quel primo di dicembre del 1929, quando incontra per la prima volta le sue alunne varesine, la giovane insegnante milanese descrive con occhi commossi il suo novello regno:

«Oggi ho assunto la terza classe femminile formata mediante lo sdoppiamento di quella numerosa già esistente. Siamo allogate nel locale della Cooperativa Fascista Filippo Corridoni. L’aula è al secondo piano, è piccola e ci si sta appena appena, ma è graziosa e raccolta; illuminata da due finestre che dominano la strada a zig zag che conduce a Varese e il profilo dei più rinomati monti del luogo: il Campo dei Fiori e S. Maria del Monte».
Una classe vivace e promettente che fa subito festa a Flora: un colpo di fulmine reciproco, benché – sottolinea la giovane – alcune alunne “si sono commosse al pensiero di dover lasciare il loro maestro». Ci si chiederà chi fosse questo insegnante tanto amato in una classe originariamente composta da 58 allievi: si trattava nientemeno che del neodiplomato Leopoldo Giampaolo, il futuro direttore dei Civici Musei, della Biblioteca, uomo di notevole levatura culturale e insigne storico varesino, i cui esordi di insegnante a fianco di Flora ho raccontato nelle pagine del Calandari do ra Famiglia Bosina di quest’anno e che vi invito caldamente ad andare a cercare dal caro amico libraio Canesi di via Walder (farete un ottimo acquisto, dal momento che la piccola Laura Aresi, ovvero chi scrive, con il nome avito, legata ai natali bergamaschi, sul Calandari è affiancata da firme prestigiose e pezzi imperdibili legati alla memoria del nostro territorio).
Io non andrei oltre col racconto, oggi. Per una serie di contingenze si è fatto tardi e devo attendere a cose domestiche e a qualche pagina di studio che mi attende ogni sera come conforto dell’anima. Solo, vorrei aggiungere qualche piccolo dettaglio: Flora era nata a Milano nel 1899 e si era diplomata a vent’anni all’istituto Tenca di via Moscova (a cui mi riprometto sempre di scrivere per cercare le note più acerbe del suo passaggio terreno, non breve come vedremo benché pressoché dimenticato dai più). A Milano risiedeva con la sua famiglia e fino alle soglie del secondo conflitto mondiale fece la pendolare dal capoluogo lombardo a Varese, prendendo il treno prestissimo ogni mattina e arrivando nella Città Giardino al sorgere del sole: e con lei, bella come un fiore di primo mattino – così mi ha raccontato qualche tempo fa una sua allieva oggi novantenne, che vive tuttora nel suo culto – iniziavano liete le giornate di studio delle bambine olonesi, affezionatesi a lei in un batter di ciglia, come fossero le figlie che non avrebbe mai avuto.
(Questo racconto è dedicato alle maestre della scuola Sacco, eredi spirituali della De Amicis per tanti motivi, non ultimo il fatto che allorché chiuse, nel 2010, per motivi non ancora ben vagliati – ne riparleremo – i piccoli transfughi e le loro insegnanti migrarono in massa alle elementari belfortesi, fondendosi in un unico destino; in secondo luogo, perché il cursus honorum delle maestre della Sacco si è sovente fondato, sin dai suoi esordi nel ‘64, su una precedente gavetta alla De Amicis, così come mi ha confermato questa mattina la maestra Francesca, che ama particolarmente i miei racconti storici sulle scuole varesine, condotti negli archivi della Righi quanto in quelli anagrafici e storici varesini e milanesi. Per la cronaca, Flora questa gelida e buia mattina di primo aprile, esordita con la nevicata al Campo dei Fiori e al Sacro Monte, è sicuramente stata l’artefice del piccolo miracolo occorso alla Sacco, ove si erano guastati dalla tempesta di venerdì sera le centraline di controllo del riscaldamento e della luce, e non v’era verso di trovare l’inghippo: non è la prima volta che parlando di lei i guai scolastici si risolvono e torna il sereno. Un nume tutelare gentile che ha commosso anche Rossella, amica di tanti anni, a cui parimenti dedico queste pagine, e affettuosamente ringrazio per esserci stata vicina).