
Nei prossimi giorni sarò nei luoghi dove Anna Banti concepì il suo capolavoro narrativo, il romanzo Artemisia, terminato nella primavera del 1944, andato distrutto sotto i bombardamenti di Firenze tra il 3 e il 4 agosto del medesimo anno e riconsegnato alle stampe completamente ripensato nel 1947.
Quello che doveva essere un romanzo storico, la biografia della celeberrima pittrice secentesca che Lucia Lopresti – questo il vero nome di Anna – aveva riscoperto setacciando musei e collezioni private di tutt’Europa, nonché lavorando sugli atti del processo per stupro che la giovane pinctora subì nel 1612, era diventato un romanzo di ricostruzione autobiografica dopo il lutto di aver perso il suo lavoro più prezioso.
«Non piangere». La vocina di Artemisia apre le pagine del libro con una potenza inimmaginabile, squarciando il pianto silenzioso della scrittrice accoccolata fra i singhiozzi sulla ghiaia di un vialetto dei giardini di Boboli, proprio all’alba dei bombardamenti. Da qui in poi si avvia un colloquio amicale fra “il personaggio forse troppo diletto” e la moglie del grande critico d’arte Roberto Longhi, un sodalizio oltre il tempo che dà vita ad una nuova modalità di raccontare artisticamente la storia, rinnovandone il genere attraverso l’intreccio delle macerie della propria anima e della vicenda narrata recuperata attraverso “la forma commemorativa del frammento“. Anna se la porta dietro “a minuzzoli, a poco a poco, con pazienza, a pezzettini“, e la voce dell’artista dall’avvenire segnato e solitario di reproba le si affida fedele, consegnandosi “in un patto stipulato in regola fra notaio e testante”.

“(…) il dettato si legava, d’istinto, a una commozione personale troppo imperiosa per essere obliterata – tradita“
spiega la Banti nella prefazione al lettore. Un romanzo potente, una scrittura penetrante, colta e ad appassionata ad un tempo, da cui non riesco a staccarmi e che mi ha fatto germinare il desiderio di inserirmi nel suo solco.
Una madre letteraria che ho cercato per tanto, tanto tempo.
Nel giorno natale di Artemisia – Roma, 8 luglio 1598 – Napoli, 1653 (anche se la critica recente tende a retrodatare di un lustro il genetliaco).

Dedicato a mia madre, la mia prima lettrice, che essendo pittrice tanto ama Artemisia e me l’ha fatta conoscere. Potete immaginarvi l’emozione di entrambe che ha provato quando le ho mandato questa fotografia dalla Pinacoteca di Bologna, dove mi trovavo a fine giugno scorso, e dove tornerò per per completare il percorso (sono state proprio in questi giorni riaperte le sale rinascimentali) all’indomani del viaggio fiorentino. Come spesso accade nei suoi lavori, Artemisia si autoritrae nei suoi personaggi femminili che sono, sotto il velo dell’allegoria storica o biblica, opere di forte denuncia e rivendicazione della dignità muliebre, professionale e personale.