



Ormai siamo giunti alle ultime battute di questa giornata dedicata al colloquio con chi non è più fisicamente con noi.
Io, vi dico la verità, forse parlo più coi morti che coi vivi, da sempre. Sono stata abituata sin da bambina, da mio padre, ad andar per cimiteri. In particolare noi, di famiglia milanese, frequentavamo il camposanto di Musocco, dove erano sepolti i miei nonni, che erano mancati quando ero piccina, mio fratello minore di un anno, vissuto poche ore, uno zio paterno mancato giovane. Per me andare al cimitero, non pensatemi matta!, era quasi una gioia, anzi senza il quasi. Ero piccola, e non avendo ricordo di questi nonni e di questo fratellino, e nemmeno dello zio, per me andare sulle loro tombe a parlare e ad aspettare quella risposta che mi immaginavo solamente, era una specie di divertimento, una passeggiata che aveva come scopo un colloquio misterioso con un altrove che non mi faceva paura.
Ancora oggi per me andar per cimiteri ha questa valenza, e così pure dialogare con coloro che mi parlano dai documenti in un archivio, o con gli scrittori antichi. In ogni caso io non ho un cattivo rapporto con la morte. So che non è proprio un argomento allegro da affrontare, ma per quanto mi riguarda, la considero solamente un passaggio, non una fine. Mi dispiace la damnatio memoriae, questo sì, ed è per questo che ho scelto di fare ciò che oggi faccio: rispolverare storie dimenticate secondo un procedimento d’indagine empirica e occuparmi parallelamente di letteratura, colloquiando con chi ha avuto qualcosa di importante e di bello da scrivere anche perché io lo leggessi e potessi trarre consolazione dalla sua scrittura.
Francamente non penso proprio che sotto terra saremo tutti uguali: questo lo pensano coloro che non credono in nulla, mentre io ho un’opinione diversa. Può anche darsi, anzi è praticamente certo che un giorno saremo tutti terra, tutti polvere, ma questo accadrà alla materia di cui siamo fatti, mentre per quanto riguarda la memoria di ciò che siamo stati, se saremo capaci di condurla oltre alla nostra morte fisica, ecco, allora non moriremo davvero mai.
Settimana scorsa, di ritorno da Ferrara, sono stata a Ravenna sulla tomba di Dante Ailghieri. Mi ero portata il De Vulgari Eloquentia, il trattato linguistico in latino che il Sommo Poeta compose negli anni dell’esilio. Fra le lacrime, ho voluto rileggere queste righe (che vi riporto nella splendida traduzione di Enrico Fenzi):
“Ma io, che ho per patria il mondo come i pesci hanno il mare, benché abbia bevuto nell’Arno prima di mettere i denti e ami Firenze a tal punto da patire ingiustamente l’esilio, proprio per averla amata, regolerò la bilancia del mio giudizio più sulla ragione che sul sentimento. Certo, per la mia felicità e per la soddisfazione delle mie esigenze personali non esiste luogo in terra più bello di Firenze, ma sfogliando più e più volte i volumi dei poeti e degli altri scrittori che descrivono il mondo sia nell’insieme che nelle sue singole parti, e analizzando dentro di me le varie localizzazioni delle regioni del mondo e la loro posizione rispetto ai due poli e al circolo equatoriale, ho verificato e posso ribadire che ci sono molte regioni e città più nobili e belle della Toscana e di Firenze, di cui sono nativo e cittadino, e che ci sono vari popoli e genti che parlano una lingua più piacevole e più utile di quella degli italiani” (“ut quam Latinos” nella versione originale: il Latium per Dante era un modo per definire l’Italia).
Dante, De Vulgari Eloquentia, I, 6
Post scriptum.
Già che c’ero, esilio per esilio, a Ravenna col mio amore sono stata in un ristorantino strepitoso che vi consiglio caldamente, perché non di sola poesia ci si nutre… il locale si chiama Ca di Ven, ce lo hanno consigliato una coppia di amici di casa a Ravenna, Mauro e Valentina. Veramente strepitoso, a due passi c’è appunto la tomba di Dante, si parcheggia nelle stradine vicine senza nessun problema e come potete notare dal tagliando, a prezzi assolutamente convenienti (idem valga per il ristorante).
Il pezzo forte? Assolutamente la peperonata (vi dovrò parlare della mia insana passione per i peperoni, praticamente allo stesso livello di quella per la poesia…), seguita dai fagioli all’uccelletto. Ottimi anche i cappelletti al ragù, i salumi, la giardiniera della casa e naturalmente il dolce: una torta di riso di cui ho conteso, aggiudicandomela, l’ultima fettina con la tavolata di fianco.
Vino della casa: promosso a pieni voti.
E se posso esprimere un parere, Ravenna è meravigliosa e a misura d’uomo, come davvero non mi immaginavo. Biglietto cumulativo per i musei diocesani, prezzo intero, 12 euro (ecco, unica nota un po’ così: ai giornalisti solo un euro di sconto, quando solitamente nei musei statali entro gratis… però vi assicuro che ne vale la pena). Abbiamo visitato diversi monumenti fra cui il Mausoleo di Galla Placidia, la confinante basilica di San Vitale, Sant’Apollinare Nuovo. Su tutti mi ha emozionato vedere “dal vivo” Teodora e il corteo delle sante in Sant’Apollinare Nuovo: corteo che inizia con Santa Cristina, che è una protagonista del mio pezzo per il Calandari 2025.








(Non ridete: il mio orsetto Acacia, che mi hanno regalato i miei figlioli, mi accompagna ovunque!)