
La filatrice, Enrico Crespi (Palazzo Marliani, Busto Arsizio, foto tratta dal sito di Lombardia Beni Culturali).
Laura è il mio nome di battesimo, il mio unico nome. Non è, il giorno onomastico, 19 ottobre, fra quelli più noti: ho un piccolo nucleo di amici che però si ricordano immancabilmente di farmi gli auguri già dal mattino presto, e li ringrazio, perché ci tengo veramente molto a questo nome.
Lo ha scelto mio padre per me, così mi racconta mia madre. La rosa delle scelte era una terna, in realtà: avrei potuto chiamarmi Elena o Silvia, ma alla fine ha prevalso Laura. Ho chiesto ripetutamente a mia madre, dato che mio padre l’ho perduto da bambina, di spiegarmi il perché della scelta e lei ricorda che piacque ad entrambi, ma che non ci fosse un motivo particolare per questo nome.
Io credo che invece ci fosse eccome: «Rallegratevi» dice il Signore: i vostri nomi sono scritti in cielo». (Lc 10: 17-24). Insomma, non si poteva ancora sapere, ma c’era sicuramente un motivo per questo nome che oggi porto con tanto orgoglio.
Innanzitutto Laura è nome petrarchesco, anche se sono praticamente certa che il giovane Petrarca ne avesse elaborato un complesso senal ispirandosi al provenzale Arnaut, il “miglior fabbro del parlar materno” dantesco e alla sua L’aura amara, facendone una sintesi suggestiva col mito ovidiano di Dafne, in cui l’elemento arboreo viene antropomorfizzato: anzi, di più, perché la ninfa che sfugge alla seduzione di Apollo è una divinità acquatica, benché abbia nell’immaginario collettivo fattezze umane. E se l’acqua ha in Petrarca una valenza profonda, ispiratrice di poesia, quanta poesia deve essere passata anche da noi, che deriviamo il nome di Varese dalle nostre acque.
Mi piace ragionare sui nomi e sul mio ammetto di averlo fatto molto e con piacere. Petrarca soggiornò nel castello visconteo di Pagazzano, che reca ancora affreschi di una Madonna restaurata da mio nonno, o almeno così mi raccontano le memorie locali: la mia famiglia materna ha origini in questo piccolo paese della Bergamasca vicino a Treviglio. Al di là di questo, però, nessuna Laura ha mai fatto parte della famiglia dei miei avi bergamaschi. Così come in quella di mio padre, che invece era nato a Minervino Murge, pur essendo vissuto praticamente sempre a Milano sin da bambino. Ma risalendo di generazione in generazione, e io lavoro proprio su queste cose, qualche tempo fa con grande sorpresa sono riuscita a trovare una mia quadrisavola che di nome faceva proprio Laura, e che, originaria di Noci, nasceva alla fine del Settecento: di professione filatrice, quindi direi la referente perfetta per la scelta del nome, e del destino che mi era stato affidato, ossia occuparmi del filo delle storie che avrei generato e accudito, come madre reale e come madre di personaggi nella penna. I documenti parlano chiaro: visse a lungo, e morì confortata dai tanti nipoti che aveva avuto, nel 1874, quindi esattamente cento e cinquant’anni or sono. Non ne ho mai parlato, mi sembra giusto il momento per farlo. Chissà come sarà stata questa nonna che portava il mio nome duecento anni prima di me. Se avrà avuto i miei capelli ramati, i miei occhi verdi, il mio carattere difficile, tendente alla malinconia, anzi di più: all’accidia.
(Dedicato a mamma Claudia, il cui funerale è stato celebrato stamattina a Masnago. Claudia, con cui ci eravamo spesso reciprocamente confidate il peso delle nostre malattie – la sua fisica, la mia spirituale – aveva letto ed apprezzato il mio blog, era una donna colta, una letterata che amava l’arte. Dopo la funzione sono andata con mio figlio Agostino al Castello di Masnago e per una promessa che le avevo fatto mentalmente il giorno che è tornata al Cielo mi sono specchiata nella raffigurazione dell’Accidia nel meraviglioso Salone dei Vizi e delle Virtù: sono io, è vero. Sono rimasta folgorata e commossa. Ma di questa visita splendida alle sale del Castello mi riprometto di scrivere più diffusamente, perché meritano davvero, nei prossimi giorni).

