Se un viaggio a Firenze restituisce frammenti di Varese. A Villa Bardini un Guttuso inaspettato evoca estati velatesi

La Sibilla di Renato Guttuso (1960)

Quando vi salutavo, qualche giorno fa, paragonando l’Immacolata del convento di Sant’Antonino alle Sibille magattiane di Sala Veratti, tutto mi sarei aspettata tranne che di imbattermi, nel mio viaggio fiorentino, di nuovo su di una Sibilla forse concepita in quel di Varese oltre due secoli dopo.

Eppure, fra le opere esposte a Villa Bardini nella mostra “Il Caravaggio – Anna Banti e Roberto Longhi” a cura della Fondazione Longhi (che si è promessa di sciogliermi presto il dubbio), vi è proprio una straordinaria Sibilla uscita dall’ardente tavolozza di Renato Guttuso, datata 1960.
Un’opera magnifica e magnetica, dedicata forse a Sibilla Aleramo, mancata proprio quell’anno. Ripeto volutamente, ed enfaticamente
l’avverbio prediletto da Leopardi, a sottolineare le infinite possibilità che quel forse ci apre: per quanto mi riguarda, per certo, di segni che costantemente rintraccio nel mio cammino e nei viaggi che, lungi dal condurmi in fuga da me stessa, mi riportano al contrario su strade che devo di volta in volta percorrere per ritrovarmi.

Anna Banti, 1932, fotografata da Ghitta Carell

Ci tenevo moltissimo ad inseguire il duplice mio mito personale di Anna Banti e Roberto Longhi nell’esposizione suddetta: si può dire che io sia salita per la ripida Costa san Giorgio – scortata dal mio gentile consorte, giacché come Anna e Longhi facciamo coppia fissa nella vita e nel pensiero -, di luglio e per giunta in una domenica di temporale, come se stessi volando con ali di libellula. Per la medesima via si incrocia l’antica caserma che fu ospizio degli allievi ufficiali di complemento dell’esercito italiano fino a pochi anni or sono, e anche per questo il mio buon marito, essendo stato in gioventù della partita, non si è certo sottratto all’appuntamento con la memoria e con l’arte, di cui del resto avevamo fatto ampia scorpacciata agli Uffizi la giornata precedente (ma di questo vi racconterò separatamente, e anche qui, lo preannuncio, qualcosa di varesino ci sarà).

Costa San Giorgio; in alto la Fondazione Longhi, a destra la casa di Galileo
Firenze vista da Villa Bardini

Le sale espositive della splendida villa fiorentina sono prestate sino al prossimo 20 luglio, data che chiuderà la mostra, alle opere della Fondazione, intrecciate alla storia del sodalizio coniugale e professionale di Anna Banti (1895-1985) – pseudonimo di Lucia Lopresti, la sublime scrittrice di Artemisia (1947) e del Coraggio delle Donne – e del sommo critico d’arte Roberto Longhi – fondatori nel 1950 fra l’altro della longeva rivista culturale Paragone, che gode tutt’ora d’ottima salute.

Ennio Morlotti, Estate, 1946

Un sodalizio che si apre nel tempo ad un colloquio fecondissimo con numerose voci del panorama letterario, critico, artistico italiano del Novecento, molte delle quali presenti nell’itinerario di visita, dal già citato Guttuso a Giorgio Morandi, De Pisis, Carrà, Adriana Pincherle e tanti altri, avviandosi però sotto l’egida del grande colpo di genio giovanile di Longhi: la riscoperta di Caravaggio, di cui in mostra è esposto il celeberrimo Ragazzo morso dal ramarro (1597 circa), eco capriccioso del Bacco degli Uffizi e della Medusa (vi assicuro che ammirarli tutti dal vero nel giro di poche ore è esperienza umanamente devastante: una tabula rasa, una renovatio animae da cui ci si riprende a fatica, né io sono ancora riuscita completamente a farlo).

Ragazzo morso da un ramarro, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, 1597 circa

Un gentile percorso monotematico accarezza il visitatore nei numerosi quadri dedicati ai fiori di Morandi, fiori che percorrono la produzione intatti quasi a sfidare l’avidità del tempo.

Giorgio Morandi, Fiori, 1951

E in un solare tempo indefinito si fissano anche le tinte di diverse opere, fra cui appunto quelle dell’enigmatica Sibilla di Guttuso, e non solo.

La Voce e la Sibilla di Guttuso

Altro capolavoro del maestro di Bagheria esposto è, infatti, il crepuscolare Peperoni, giornali e case di notte, del 1961, che ci restituisce frammenti d’estate in notturna attraverso una natura morta decisamente non convenzionale. Detto fra noi, per me giornalista d’estrazione cultural gastronomica e adorante la divinità duplice dei peperoni e della tavolozza di Guttuso, quest’opera rappresenta l’archetipo estetico, in specie dopo aver appreso dalla mia cara Serena Contini che diverse opere preparatorie alla Vucciria o il mercato di Palermo, notoriamente dipinta a Velate, rappresentavano proprio… dei peperoni.

Renato Guttuso, Peperoni, giornali e case di notte, 1961

E’ o non è quest’opera che mi ha scosso il cuore, una veduta velatese del Maestro? Ad oggi non abbiamo ancora risolto l’arcano. Dalla Fondazione Longhi, da me contattata via mail subito dopo aver ricevuto la dritta di Serena (“Le opere velatesi recano una V maiuscola sul verso”), mi si promette di indagare. Anche la Sibilla meriterà qualche spiegazione ulteriore: di certo la collaborazione di Guttuso con Aleramo è nota quantomeno sin dalla raccolta Aiutatemi a dire che la poetessa pubblica nel ’48 proprio con illustrazioni dell’artista siciliano, non certo nuovo ad istoriare materiale narrativo e poetico (si ricordino almeno il Decamerone e la Commedia da lui illustrati).

Leonetta Cecchi Pieraccini, Ritratto di Roberto Longhi, 1928

Adriana Pincherle, Ritratto di Anna Banti, 1955

Concludo con le parole ammirate di Gianfranco Contini intorno ad Anna Banti:

Era stata molto bella e aveva mantenuto un portamento regale. Aveva avuto dei capelli rossi di un’attrazione, penso, straordinaria.


Cara Anna, ti ho cercata per tanto tempo.

(In questo viaggio fra le opere di Villa Bardini la Voce veste Maryan Mehlhorn, grazie alla consulenza della gentile Cristina di Bon Ton Due, Vicolo San Martino, Varese)