
Lo confesso: aspettavo questo momento da anni, e all’ufficializzazione della candidatura di Varese e Gallarate a Capitali dell’Arte Contemporanea ho subito sperato che l’apertura serale delle collezioni di Villa Panza divenisse realtà. Cosa che si è avverata e che mi ha inorgoglita felicemente, dal momento non ho mai nascosto di considerare questo luogo un tesoro inestimabile sotto molteplici angolature: per la valenza naturalistica del suo parco, per l’impianto architettonico della villa e del giardino, per la storia secolare parte della quale mi si è rivelata come dono prezioso in carte d’archivio e a cui presto restituirò voce.

Ieri sera, perciò, non potevo assolutamente mancare al primo esperimento di apertura serale delle sale museali, sale che conosco bene perché vi torno spesso come fossi di casa, ospite di memorie amiche. L’esperimento, così mi piace chiamarlo ma spero diventi presto la prassi, durerà per tutto il mese di luglio, per ogni martedì sera, dalle 18 alle 22: in pratica, anziché chiudere, la villa e il suo magnifico parco si apriranno ai visitatori nelle ore, a mio avviso, più belle dell’estate.

Nota mi è da tempo la collezione permanente1, che poi è il percorso che s’incontra nell’ala più antica della villa, appartenuta nel Settecento ai Menafoglio, quindi nel secolo successivo ai Litta, infine acquisita dalla famiglia Panza2 negli anni Trenta del Novecento: così, sul preannunciarsi minaccioso di un fortunale – il primo di una certa severità su Varese, di questa stagione – ho pensato di concentrarmi sull’esposizione temporanea, che pur avevo già visitato un paio di volte, in apertura e in occasione della festa della Mamma3.

Il filo conduttore che sempre mi piace riagganciare ogni volta che torno in questo luogo dell’anima è il dialogo che Giuseppe Panza, appassionato cultore d’arte e collezionista, instaurò fra gli ambienti e le opere astratte, i celeberrimi quadrati monocromatici che caratterizzano ogni singola stanza di tutta la magione, e che a prima vista paiono distrarre l’osservatore dalla narrazione circostante, quasi annullando quest’ultima in una spazialità nuova, fatta esclusivamente di luce e di colore.




La luce è il grande tema delle collezioni di Villa Panza da sempre. Luce che nasce dall’armonia di fasci discordi, luce che rigenera nella divisione di altrettante fonti cromatiche. La collezione temporanea, prestito di Gemma De Angelis Testa, moglie del pubblicitario Armando Testa (1917-1992), si pone in colloquio fecondo con la filosofia metafisica di Panza dispiegandosi in un percorso di undici tappe, allestito al piano nobile dell’ala che fu occupata dalle stanze personali dei proprietari, con un esordio programmatico: No number twice, +216, After the Augustine’s Confessions, 1991, del concettualista americano Joseph Kosuth.



Un altro sguardo, inaugurato il 10 aprile scorso, rimarrà fruibile sino al 12 ottobre. Nell’allestimento un’opera su tutte mi riempie il cuore, ed è esposta nella stanza che ne conclude, con felice premonizione artistica sulla svolta incombente di Santa Romana Chiesa4, il percorso agostiniano.

E’ la stanza che ospita Segno, opera del 1990, di Armando Testa (che sarebbe mancato solo due anni più tardi), o sia la croce di legno bianca dal capo reclinato, speculare alla composizione Colourful stones dell’artista camerounense Pascale Martine Tayou. In quest’ultima, le pietre divelte dall’ideale selciato sono il simbolo della rivolta contro il potere dispotico di un paese martoriato dalla guerra civile che, nella rappresentazione artistica, diventano eco di tutte le ribellioni all’oppressore, reale o ideale che sia.
Notiamo come il ciottolato multicolore evochi la moltitudine dispersa delle opere monocromatiche del conte Panza. Così, la strada lastricata di sampietrini colorati diventa in un batter d’occhio il cammino che andiamo percorrendo nella villa ma anche il nostro cammino personale, nei cui frammenti la nostra anima si specchia raccogliendoli passo dopo passo; un cammino di forte matrice petrarchesca, che cristianamente è una croce assunta sulle spalle.
Croce che nel suo candore riassume e sublima tutti quei frammenti sparsi, tutti quei colori, dando loro un senso rinnovato ed univoco. 5.
Come vorrei che quest’opera straordinaria diventasse parte integrante della collezione perpetua di Villa Panza. La mia visita si conclude in maniera del tutto conforme a com’era iniziata: mi immergo nella luce, ora rappresentata dalle affascinanti installazioni che Giuseppe Panza commissionò all’amico Dan Flavin (1933-1986) negli anni Settanta.


Per perdersi definitivamente e ritrovarsi a riveder le stelle, da oggi più che mai con le aperture serali di questo tempio dell’arte contemporanea che è gestito, va detto, in maniera degnissima dai tanti volontari del FAI.
Post scriptum. Le aperture serali di luglio saranno allietate dal ristorante eponimo della narrazione – non poteva essere altrimenti!, ossia il Luce. Per quanto mi riguarda, l’aperitivo sontuoso di ieri sera ha ripagato saporosamente nei locali interni il dispiacere di esser fuggiti Campari in mano dalla tempesta abbattutasi nel déhors. Qui proprio nulla è lasciato al caso, tantomeno l’esperienza del gusto. Un unico monito: siateci.



- Villa Panza è una magione stupenda dove gli ambienti sono memoria viva di fasti antichi, di pranzi e cene familiari ma anche di riunioni politiche, di balli e ricevimenti, di scene risorgimentali e prima ancora di conviti barocchi. La posizione della maestosa villa ducale caduta in disgrazia in seguito alla morte dell’intellettuale David Henry Prior, ultimo erede di casa Litta, e riportata agli antichi fasti da Giuseppe e Giovanna Panza per poi essere acquisita dal FAI nel 1996, domina il colle di Biumo Superiore, è contrastata solo dal vicino complesso più recente delle Ville Ponti; merita una visita approfondita che consenta di immergersi, fra stucchi e camini, fregi, arredi, affreschi e vetrate, in maniera condecente nei tempi dei loro protagonisti. ↩︎
- Ernesto Panza, commerciante vinicolo di origini monferrine, milanese d’adozione, acquista nel 1935 la proprietà già Litta dagli eredi Prior; nel 1940 diventa conte di Biumo per nomina regia. Fra i vari meriti, quello di aver ridato luce al Broletto milanese, o Loggia dei Mercanti. ↩︎
- E ci avevo portato la mia, Nina, la mia prima lettrice, a cui dedico questo scritto. ↩︎
- Com’è noto, un mese più tardi, la sera dell’8 maggio, giorno di san Vittore, il patrono di Varese, sarebbe stato eletto papa l’agostiniano Leone XIV ↩︎
- Chi abbia in mente il dialogo petrarchesco del Secretum ha compreso di cosa parlo. Sparsa fragmenta recolligam, promette Franciscus ad Augustinus, che lo invita a tornare a sé, a dimenticarsi delle lusinghe del mondo. Ma ho così tanto ancora da fare, risponde Petrarca al suo interlocutore: devo raccogliere i frammenti sparsi della mia anima, e per rimetterli insieme ho da vivere ancora un pezzo nel mondo. Devo camminare, scrivere, vivere. ↩︎

Come di consueto, per concludere in bellezza, un’occhiata anche alla mise della giornalista ci sta: abito nero minimal chic by Montecervino (consulente di stile, la mia carissima Romina di Mara, Masnago City): nero, ovviamente, per non distrarre l’ambiente dalla filosofia di luce circostante. Unica concessione al colore, gli accessori rosa fluo in pendant con le installazioni (Cory Moda di Acqui Terme per la borsa, Dr Scholl per i sabot). C’est tout :). A la prochaine!