
Aniline and slashes of canvas, Inchiostro di anilina e tagli su tela.


Se fosse stato ancora fra noi, probabilmente Dino Buzzati ci avrebbe fatto su un pensierino per un sequel di Paura alla Scala. Ieri pomeriggio chi come me si è arrischiato a fare un salto al Museo del Novecento per cercare refrigerio alla calura tropicale tutto s’aspettava tranne di dover rinunciare al suo obiettivo agognato, ossia concedersi un colloquio a tu per tu con Boccioni e i futuristi, e di sentirsi mancare dal caldo arrivato al quarto piano della struttura, il primo disponibile dopo una sequela di scale mobili che per simpatia con l’angoscia collettiva intonavano un lugubre concerto metallico e lamentoso.

Il mio adorato Achille Funi, “Il bel cadavere” (“Le villeggianti”), 1920. 1
Cinque euro, per carità, il prezzo standard della visita (non mi ero preventivamente accreditata) per un colosso narrativo intorno all’arte contemporanea sono veramente il minimo sindacale da richiedersi al visitatore: però, a meno che non si fosse motivati sino allo spasimo a raggiungere le vette incontrastate di Lucio Fontana, forse quella di ieri non era proprio la giornata ideale per presentarsi in quel del primo museo italiano del genere.

Giorgio De Chirico, la Sala di Apollo (Violino).2
Cosa fosse successo non ci è dato di sapere: smantellate letteralmente le sale interdette al pubblico, in grave penuria di refrigerazione le altre, ma anche d’aria nel momento di massima affluenza (e giravano gruppi con relative guide…), ieri per omaggiare De Chirico e Morandi, Carrà, Funi e Marini occorreva una buona dose di autocontrollo: buon per me che frequento ormai sistematicamente l’arte per superare le crisi di panico e la depressione delle stagioni “forti”, dal momento che la prova provata di alta resistenza mi ha davvero confortata sul potere, e sull’effetto terapeutico delle opere sulla mia persona (e sulla mia scrittura ritrovata di conseguenza).


Ed eccomi a confessare che sì, alla fin fine, non avrei potuto io scegliere occasione migliore di saggiare la mia vocazione estetica. In ogni caso, dato che ormai quello della domenica pomeriggio con Milano sta diventando un appuntamento fisso, tornerò presto (informandomi preventivamente sulla riapertura dei piani attualmente indisponibili!) sia per completare a livello sommario il lavoro, sia per occuparmi con più cura possibile di singole opere che mi hanno conquistata, e magari soffermarmi con meno fretta su altre: d’altra parte, definire immensi gli spazi espositivi in questione è render loro semplicemente giustizia. Ma all’ultimo piano, costi quel che costi, pure una rinnovata sauna senza preavviso, ci tornerò spesso, ad ammirare la poesia di Lucio Fontana, dalla splendida Signorina seduta (1934), non a caso considerata il vertice della produzione dell’artista argentino di origini varesine3 alle numerose altre opere che hanno reso immortale il genio delle laceranti Attese.


Post scriptum: sto seriamente meditando di gettarmi alle spalle il dispiacere reiterato delle pagine di cronaca e di consacrare la mia scrittura disimpegnata alla bellezza.




- Achille Funi (1890 – 1972), ferrarese di nascita, studia sin da ragazzino all’Accademia di Brera, dove assumerà l’incarico di docente di pittura murale e affresco. Esponente del Realismo Magico, è uno dei grandi del Novecento italiano, riscopritore di forme classiche e interprete raffinato dell’arte sacra. ↩︎
- Forse il mio lettore non conosce la vicenda personale di De Chirico. Mi preme ricordargli che l’inventore della pittura metafisica soggiornò per tre lunghi anni, dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, a Ferrara: qui conobbe Carlo Carrà, Filippo De Pisis (altro grande ferrarese) e Giorgio Morandi, ma anche, ovviamente, si appassionò al classicismo estense. Chi frequenta con un certo affetto queste mie povere pagine si accorgerà subito che che quest’opera denominata Violino potrebbe essere in stretto colloquio con l’Apollo Musico di Dosso, di cui ho già scritto in occasione della Mostra sul Cinquecento ferrarese ai Diamanti, e che De Chirico aveva ammirato nel soggiorno romano (in cui conobbe il Roberto Longhi futuro promotore dell’Officina Ferrarese) alla Galleria Borghese. ↩︎
- Lucio Fontana (1899-1968), pittore, scultore, ceramista, mosaicista, fondatore nel primo dopoguerra dello Spazialismo, era nato a Rosario, in Argentina, da padre laghée, originario di Comabbio, dove l’artista ne ristrutturò la proprietà stabilendovi nell’età matura la propria residenza di affetti e di opera. Mi piace ricordare che il grande artista compì gli studi elementari all’Istituto Torquato Tasso di Biumo Inferiore, la Castellanza di Varese dove risiedo, prima di approdare all’Accademia di Brera e all’Accademia del Castello Sforzesco. Ma riparleremo di sicuro presto di lui in una prossima occasione. ↩︎

In ultimo, vanitas vanitatum ma la bellezza richiede bellezza: per questo post ho indossato un abito della collezione di Indelicatissimo, via Garibaldi, Ferrara (ciao mitica Clarissa!).
