
In questi giorni sono un po’ triste perché la mia gattina Isotta è molto malata. Essendo già di mio molto poco incline ad uscire di casa nei periodi malinconici, che cadono in particolare per me in primavera ed in autunno, sto divorando libri standole accanto, ancor più di quanto io legga già molto nei periodi normali.
Oggi in particolare ho iniziato la lettura di “Centuria” di Giorgio Manganelli (15 novembre 1922 – 28 maggio 1990), un autore di cui ho sentito parlare negli ambienti accademici e un po’ elitari, forse perché davvero si tratta di autore particolarmente impegnativo, non per tutti insomma. Quando una sera alla fine dello scorso marzo ero entrata nella libreria antiquaria di Federico in via del Saraceno a Ferrara, di ritorno dal mio caro appuntamento mensile con Schifanoia per propiziarmi il mese entrante, un po’ triste perché il Sognalibro della mia amica Serenella a pochi passi nel quartiere ebraico aveva chiuso ormai da un anno, ero rimasta folgorata veramente da questo titolo e da questa edizione pregiata, la prima nella BUR dopo la vittoria al Viareggio: e me l’ero aggiudicata assieme ad un commento critico degli anni Sessanta su Boldini di cui forse vi parlerò.
Non sapevo, allora, che quest’anno sarebbero stati i trentacinque dalla scomparsa dell’Autore. Cadono per l’appunto oggi: così, complice Isotta, mi sono messa a leggerlo. E siccome sono reduce da un convegno sui 650 anni dalla morte di un altro grande, anzi del più grande in assoluto a mio parere, vale a dire il Boccaccio, ho immediatamente collegato i due lavori.
Di questo visionario e stralunato capolavoro ho divorato i primi cinque microromanzi.
Ma cos’è un piccolo romanzo fiume, se non una novella assai breve? Mi piace pensarlo giacché una traccia di interpretazione ce la fornisce lo stesso Autore in premessa: “Libriccino sterminato, insomma; a leggere il quale il lettore dovrà porre in opera le astuzie che già conosce, e forse altre apprenderne”. In ogni piccola storia si rimane letteralmente impaniati, come catapultati nelle stravaganti situazioni narrate, e ci si dibatte come una muta naufraga Alatiel fra le braccia dei suoi ripetuti rapitori, acquistando man mano la propria consapevolezza di lettore/auctor, che non è affatto scontata avvicinandosi alle prime pagine di un’opera così strana, moderna e antica ad un tempo, certamente rifondatrice di un genere straordinario come quello novellistico.

La mia dolce Isotta, 14 anni, che porta questo nome gentile come la protagonista dell’Isotteo dannunziano: altra opera stupenda espressamente ispirata non solo al Boccaccio della ballata antica ma anche alla poesia fiorentina del Quattrocento.