Oggi ricorre l’anniversario della morte di Alessandro Manzoni, al quale sono particolarmente devota: perciò mi fa piacere raccontarvi una storia che pochi conoscono e che riguarda la città di Varese, la quale giustamente si fregia di essere stata la prima ad intitolare una via al grande scrittore padre della lingua italiana.
Manzoni era spirato dopo lunga malattia nel tardo pomeriggio del giorno 22 maggio 1873, un giovedì proprio come oggi. Il giorno dopo era previsto a Varese il consiglio comunale, che ancora si teneva nell’atrio delle scuole urbane maschili, nell’edificio originario che oggi ospita il Tribunale, perché il vecchio palazzo municipale di piazza del Garibaldino era di spazi troppo angusti per contenere non tanto la giunta e i consiglieri ma il popolo varesino che accorreva a seguire le sedute. Sì, perché dovete sapere che il consiglio comunale di Varese godeva di grande prestigio in epoca risorgimentale, essendo il primo in assoluto in Italia ad aver consentito la partecipazione dei cittadini che avessero voluto presenziare rispettosamente ai lavori.

Sedeva allora in questo consesso di elevati spiriti – mi perdonerete, ma per me la Varese del passato è qualcosa di nobile ed insuperato, e magari in poscritto capirete l’allusione – fra gli altri, Ezechiele Zanzi, straordinaria figura eclettica di notaio, cronista del Gazzettino di Varese per il Corriere del Lario mentre ancora era studente di legge, maestro, uomo di cultura e patriota, che ho avuto l’onore di conoscere tramite quella figura altrettanto luminosa, magistrale e paterna che è per me Renzo Talamona alcuni anni or sono, e che poi ho desiderato approfondire nei lunghi mesi di studi d’archivio che mi hanno consolata durante il periodo covidiano. Ezechiele era stato segretario cittadino all’epoca della seconda guerra d’indipendenza, e al mese di maggio aveva consacrato l’amore per la sua Varese, consegnandola personalmente al Diavolo Rosso, suo grande amico, e liberandola dal giogo straniero, comportandosi da vero e proprio capitano municipale ben oltre le sue mansioni, surclassando il sindaco in carica Carcano. Smessi i panni di segretario cittadino e consacratosi all’attività notarile di famiglia – gli Zanzi sono ancor oggi la memoria storica di vicolo San Martino – e al Museo Varesino Patrio di Studi Storici che lui stesso aveva fondato, aveva però continuato l’attività politica da semplice consigliere, sempre con la medesima passione in corpo che gli veniva probabilmente da quel falò che ardeva in piazza della Motta proprio nel giorno delle doglie con cui sua madre, che dopo di lui avrebbe avuto altri nove figli, lo aveva partorito nel lontano 1833.

Era, insomma, piuttosto titolato, il Nostro, a imprimere variamente il segno su Varese, sebbene portasse sulle spalle lo spazio di sole quaranta primavere. Fu così che in quel consiglio comunale tenutosi all’indomani della dipartita di don Lisander, Ezechiele, che era corso a Milano appena ricevuta la notizia al telegrafo, ed aveva pianto commosso assieme al popolo milanese, formulò immediatamente la proposta di intitolargli una nuova via fra quelle che Varese stava assestando in quel periodo, memore anche del legame che Manzoni aveva con il nostro territorio, e in particolare con Casciago e la villa della seconda moglie Teresa Borri. La proposta venne ribadita in un lungo e accorato discorso nella seduta del martedì successivo, discorso che vi riporto per intero così come lo trovo sulla Cronaca Varesina dell’epoca (che era diretta da suo fratello Luigi Zanzi) e accolta all’unanimità dalla Giunta e dai consiglieri presenti: a far cadere la scelta di rinominare la porzione dell’antica e cruciale via Pozzovaghetto che andava rinnovandosi in quel periodo (un altro tratto, quello che dava su piazza Porcari, era stato precedentemente intitolato ad Alessandro Volta) fu concretamente Pompeo Cambiasi, altro grande campione della politica del tempo nonché direttore del Teatro alla Scala, al quale dobbiamo la prima rappresentazione della Messa da Requiem di Verdi in onore dell’amico Manzoni, avvenuta cento e cinquantun anni fa esatti, il 22 maggio del 1874. E fu così che la Varese di Ezechiele, allora sotto l’egida del sindaco Francesco Magatti, in onore di don Lisander compiva un doppio, generosissimo omaggio al grande romanziere, testimoni i cittadini in consiglio: quelle genti meccaniche e di piccol affare che l’Historia scritta dai grandi campioni ignora, ma che lui aveva voluto imprimere per sempre nella memoria degli italiani con il suo capolavoro, i Promessi Sposi.
A questo punto una prece, anzi due.
Sono stata personalmente con Renzo Talamona, che tanto l’ha studiato e me lo ha fatto conoscere, a ritrovare la sepoltura di Ezechiele, che riposa in un anonimo ossario di Giubiano. Desidero con tutto il cuore che possa avere l’onore che merita assieme al fratello Leopoldo, ingegnere ferroviario, morto un anno dopo di lui, nel 1885, nel Famedio che prenderà vita, per quanto è dato di sapere a noi poveri studiosi senza sponsorizzazione alcuna, presto nelle intenzioni della novella commissione cimiteriale varesina.
Post scriptum impietoso ma doveroso.
Qualcuno si sarà accorto, passando da via Carrobbio, che in prima pagina sul periodico Votiamo! esposto in vetrina dall’editore Il Cavedio compare un mio pamphlet che ringrazia alcuni consiglieri per aver preso carico di alcune questioni lanciate dal giornale e votate dai lettori.
Ad oggi, ossia dopo due consigli comunali dall’andata in stampa, la promessa non è stata mantenuta.
La giornalista scrivente, che come da lezione manzoniana ha sempre onorato il vero nella parola, riportando esclusivamente nei suoi scritti ciò che le veniva assicurato appunto per vero, si ritiene indignata per questa grave mancanza che, oltre a danneggiarla nell’immagine, prima di tutto danneggia la credibilità del consiglio comunale stesso, evidentemente preda di beghe intestine fra partiti della medesima coalizione che il giornalista, appunto, non è tenuto a conoscere mentre riporta ciò che le viene riferito da un capogruppo.
In ultimo, ci tiene a precisare, detto consesso comunale non è un palcoscenico ad uso di chi possiede uno scranno, qualsiasi esso sia, ma un luogo di riferimento per la democrazia cittadina e come tale deve essere utilizzato.