Due Madonne ferraresi esposte ai Diamanti

Ormai non è un segreto per i lettori del mio blog: non appena torno da Ferrara, inizio a contare i giorni che mi separano da lei, da questa città del cuore dove rinasco ogni volta, e divento compagna d’anima di Lucrezia Borgia, di sua suocera Eleonora, di Elisabetta ed Eleonora Gonzaga, di Isabella del Balzo, di Leonora, Marfisa e di tutte le dame che nell’esilio estense più o meno scelto, più o meno subìto, che fosse nativo o esotico trovarono rifugio degno di loro.

A Ferrara mi sento a casa: ho i miei amici, ho i miei luoghi cari, ho i locali che amo frequentare assieme a mio marito ma anche da sola. E fra tanti luoghi dove amo trascorrere le mie lunghe giornate estensi, in particolare ve n’è uno, il Palazzo dei Diamanti, che per me è un vero asilo del cuore e della mente. Amo tornare spesso in Pinacoteca a salutare alcuni dipinti con i quali ho stabilito un colloquio intimo e prezioso.

Lei è la mia Madonna preferita in assoluto. Mi fermo spesso a parlarle: è stata dipinta dal cosiddetto Maestro degli occhi ammiccanti verso la metà del Quattrocento ed è una tempera su tavola. Mi piace tantissimo per la tenerezza quotidiana che la contraddistingue: gioca con il suo Bambino facendogli il solletico e gli copre la testina con il suo velo, ma anche il sederino con un panno pulito. E’ una mamma che ha appena cambiato il figlio e si mostra nella sua delicata e timida semplicità: è davvero stupenda, sembra parlarti e sorriderti dicendo “Vedi? Sono come te, parlami e ti capirò”. Ispira confidenza, infonde serenità.

Quest’altra opera, invece, è la Madonna col Bambino di Benvenuto Tisi detto il Garofalo (1481-1559), di mezzo secolo posteriore a quella precedente. E’ esposta nella mostra che terminerà domenica, al piano inferiore dei Diamanti (la Pinacoteca è al piano superiore): mi viene spontaneo accostarle per l’affinità cromatica delle figure virginali e del Bambino. I toni dominanti sono il nero del velo e del manto della Madonna, mentre l’abito è rosso, esattamente come nel dipinto del Solletico. Le espressioni in questo caso sono serie, gli occhi della Madonna e del Bambino non sono più rivolti all’osservatore; la Madre carezza con lo sguardo il Figlio, il quale gioca con due ciliegie e un uccellino che si è posato sulle sue dita, mentre Lei con un braccio lo tiene saldo al grembo, con l’altra mano chiude un libro che sta leggendo. Alle loro spalle la città turrita che doveva essere ancora al tempo (come attesta anche la cripta affrescata di recente ritrovamento in San Paolo, sotto la sepoltura di Guarino Veronese) e la campagna circostante. E’ ancora una scena del quotidiano, ma nei modi composti e classicheggianti del Raffaello ferrarese, che pur essendo già considerato un insigne Maestro e autore delle più splendide pale d’altare delle chiese ferraresi, non rinunciò a fare tabula rasa della sua arte dopo un viaggio a Roma in cui – come narra il Vasari nelle sue Vite – rimase folgorato da Michelangelo e Raffaello e volle tornare nei panni del discepolo che apprende un nuovo stile e un nuovo cammino.

Quest’opera, un olio su tavola, appartiene ad una collezione antiquaria di Como (Callea Antichità). Garofalo, assieme a Mazzolino, Dosso e Ortolano è protagonista della mostra ai Diamanti che chiuderà, come ho scritto più sopra, alla fine di questa settimana. Nei prossimi giorni vi racconterò altre opere.

Benvenuto Torreggiani, Busto in gesso del Garofalo, 1872.

Per salutarvi, colgo l’occasione per presentare a queste pagine una persona cara e gentilissima (vero testimonial della cortesia estense) che rivedo sempre con piacere: Marco Gulinelli, assessore alla Cultura di Ferrara al suo secondo mandato. Lui e Vittorio Sgarbi sono la mente e l’anima di tutto ciò, e di molto altro ancora.


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