Sant’Imerio, il mio prediletto.

Particolare del Polittico di Francesco De’ Tatti, 1517, Castello Sforzesco, Milano.

L’ho saputo tardi, che si sarebbe festeggiato oggi1. Sant’Imerio mi è nel cuore da tanti anni; ho scritto tanto di lui in passato. E’ il mio santo preferito non solo perché è ad oggi l’unico santo varesino, ma anche perché è un pellegrino romeo, e mai come quest’anno giubilare vorrei che proteggesse la mia scrittura in cerca del suo cammino.

Tanto si è detto, tanto si è lavorato di opinione su di lui e sul compagno Gemolo, col quale attraversava la Valganna quando vennero assaliti intorno all’anno Mille da alcuni briganti: Gemolo morì entrando nel bosco di retro all’abbazia di Ganna, dove la pietra incontrando il Margorabbia si fa del color del sangue; Imerio riuscì a trascinarsi sino a Bosto, che come mi spiega sempre il mio magister Renzo Talamona, era entità amministrativa separata da Varese e lo sarebbe rimasta per molto tempo: qui spirò e fu sepolto in un sarcofago di pietra conservato nella chiesa attualmente intitolata al santo (ma solo da un secolo a questa parte, giacché in precedenza era dedicata a san Michele).

Si è cercato invano il nome del vescovo che li accompagnava, e che li avrebbe scortati sino a Roma se non ci fosse stato l’agguato. Si è ipotizzato addirittura che i due santi, la cui memoria ricorre in realtà il 4 di febbraio nel martirologio romano, fossero “gemini” e non cugini, e c’è chi addirittura pensa che fossero la stessa persona. Di fatto, su istigazione del mio Magister, nel lontano febbraio 2017 andai a leggere personalmente in biblioteca la voce dedicata sul ponderoso e fondamentale tomo del Bussero che Luigi Borri aveva acquisito fresco di stampa (la prima edizione in assoluto) nel 1917, tre anni prima di morire (la grafia è la sua, fidatevi): lo leggevo giusto nel suo centenario e fu un’emozione unica. (Abbiamo in biblioteca a Varese autentici tesori nascosti).

La Memoria di san Gemolo del Bussero (che scriveva nel XIV secolo circa) continua ma non ve la faccio lunga (altrimenti la mia amica carissima e prima lettrice Antonia, al cui giudizio tengo tantissimo, mi sgrida e fa bene). Vi mostro solo uno scatto (un po’ datato: risale al 2010) del luogo del martirio di Gemolo, la famosa pietra di porfido rosso, e più sotto…

… un tenero ricordo di quel 2017, in sant’Imerio, quando le celebrazioni durarono diversi giorni e don Enrico aveva invitato fra i conferenzieri il suo amico fraterno Renzo Talamona.

Credo che la mia passione per la ricerca storica abbia inizio da qui. Una passione in cammino.

Post scriptum. Fra pochi giorni si tornerà a parlare del Carnevale Bosino e del Pin Girometta. Ecco. Io anni fa proprio in occasione di quelle frequentazioni ipotizzai che Giuseppe Talamoni, il celeberrimo artista varesino fondatore (fra tante altre cose) del Gruppo Folcloristico e compilatore del Canzoniere Popolare Bosino (ma non parente di Renzo Talamona nonostante la quasi omonimia: so già che me lo chiederete e quindi anticipo la risposta!), si fosse ispirato all’iconografia della predella del polittico del Tatti, ossia in buona sostanza a Sant’Imerio, per generare la figurina archetipica del Pin.
Oggi più che mai ne sono convinta e non mi stupirei, un giorno, di trovare la prova d’archivio che mi dà ragione.

  1. Racconto del Polittico in questo articolo: Le due Caterine clarisse: Caterina Piccinelli e Lucrezia Borgia. Da Varese a Ferrara, due nobildonne in colloquio oltre il tempo. – La Voce di Varese ↩︎

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