Non è da me fare incursioni nei luoghi della mondanità varesina, essendomi da tempo rifugiata nel mio caro e confortevole esilio dorato, fatto di famiglia, studi, scrittura, viaggi – tanti – ed archivi.

Proprio ieri sera, però, uscivo dalla Biblioteca Comunale, sita nei locali di Palazzo Estense dove avevo studiato per tutto il pomeriggio avviando un’indagine nuova, che mi occuperà diversi mesi rincorrendo un caso d’oblio di quelli che mi prosciugano le vene ai polsi: e quella dolce voce femminile negletta e ormai visceralmente amata, di cui sto raccogliendo – direbbe Anna Banti – faticosamente i minuzzoli della storia – mi aveva condotta lontano nel tempo, un giorno di quasi cent’anni or sono, quando il refettorio dell’ex convento di Sant’Antonino venne aperto per la prima volta dopo secoli e per l’arte.
Fresca di tanto studio gettavo il cuore in corsa verso quella Sala Veratti che avrebbe ospitato il vernissage dell’esposizione dedicata a Fabrizio de André, alla presenza dell’assessore alla cultura Enzo Laforgia, grande appassionato di Faber e promotore della mostra. Non dopo aver incontrato sulla via qualche amico che da tempo non vedevo…



Così, finalmente, facevo il mio ingresso in quello scrigno di bellezze che è la Sala Veratti, la quale apre solo in occasione di rari eventi, e grazie alla sollecitudine dei volontari che se ne offrono custodi: di questo evento in particolare si fa garante il caro Roberto Leonardi con l’Associazione Varesina dei Carabinieri.









Non potevo certo mancare all’appuntamento con il primo cantastorie d’Italia, io che, povero giullare (che custodisco la ricetta della cimma della nonna di mio marito, e che ho fatto sei figli mezzi zeneizi), sovente canticchio Re Carlo tornava dalla guerra. L’ascoltavo la prima volta a lezione in Festa del Perdono grazie al professor Alfonso d’Agostino, di cui mi pregio d’esserne stata allieva nel tempo degli dei falsi e bugiardi; lui mi ha trasmesso per primo il sacro fuoco di liberare le vite degli altri imprigionate dalla polvere del tempo: proprio come Faber, il filologo romanzo della chanson italiana.
Non potevo certo mancare, e non solo perché ho scoperto di recente una cantastorie varesina dimenticata dell’epoca del Risorgimento. Non potevo certo mancare perché ero stata appena chiamata ad inseguire una nuova storia tutta varesina, parimenti splendida e struggente, che aveva avuto inizio proprio da quella Sala Veratti1, da quelle meravigliose Sibille dal cartiglio latino dipinte dal mio adorato Magatti assieme al Baroffio; e avevo ancora sotto gli occhi, pregni delle carte appena lette, il podestà Domenico Castelletti2 che quella sala nel lontano 1929 aveva voluto riaprire e restaurare e destinare all’arte ed alla cultura varesina. Arte e cultura che un tempo furono floride e pionieristiche, e tali, mi auguro proprio sotto gli auspici delle Sibille e di Faber, devono tornare.

- La storia della Sala è raccontata al seguente link: Sala Veratti – Musei Civici di Varese ↩︎
- In qualità di presidente dell’allora Club degli Artisti, ribattezzato presto Circolo degli Artisti di Varese.- ↩︎