
Le vacanze di Natale sono sempre per me un invito a a rifugiarmi negli ozi letterari, ragion per cui mi dimentico per molto tempo di riaprire il computer e di scrivere su una tastiera: ma non di farlo con carta e penna, giacché la mia vita è ancora parecchio legata alla scrittura a mano, per la stessa ragione per cui per me sono fonte di ispirazione e lavoro gli archivi.
E’ questo il motivo per cui vi presento in queste ore la storia di Maria della Motta, l’ultimo personaggio congedatosi dalla mia penna, e sa il Cielo quanto soffro ogni volta che li lascio partire per il proprio viaggio. Una vicenda per quanto ne so, inedita sino alla pubblicazione sul Calandari1, e che mi ha letteralmente consumato il cuore. L’ho scoperta per caso, cercando altro come sempre succede, fra i faldoni d’archivio di via XXV aprile un 15 di dicembre di alcuni anni or sono2, e l’ho inseguita nei suoi luoghi meticolosamente, dalla nascita in una cascina bobbiatese nel 1816, sino alla morte in manicomio al Mombello, registrata dall’ufficiale del Comune di Varese l’ultimo giorno dell’anno, in realtà avvenuta proprio una tarda mattina a mezzo dicembre. Proprio nella ricorrenza, che non avrebbe ricordato nessuno, di fatto, io l’avevo ritrovata.
Non credo al caso. Credo nei personaggi che chiamano lo scrittore, che lo scelgono per affinità, che ardono dal desiderio di ritrovare la propria voce perduta, soffocata nella damnatio memoriae, inghiottita dal tempo come se non fosse mai esistita. E sono onorata di essere cercata dai personaggi più umili, più dimenticati, più calpestati, sepolti sotto la cenere del tempo e dell’oblio: quelli che nessuno avrebbe desiderio di scrivere, forse, chissà.
E’ così che, a cento e cinquant’anni di distanza dalla morte, anzi cinquantuno, ho voluto ridare voce alla povera, bella cantastorie che, per le strade di Varese e sul sagrato di sant’Antonio intonava canzonette giocose e irriverenti indirizzandole a personaggi locali, col volto dipinto dai carboncini per ricordare che era la Strega della Motta: lei che essendo donna, e senza un tetto sulla testa, fu inchiodata all’etichetta di matta, quando era al contrario una umile cantrice di piazza degli anni del Risorgimento, nata assieme alla città di Varese, e destinata a morire lontano, in incolpevole, silente esilio.
Per rendere giustizia a Maria, di cui non conserviamo nulla se non una croce in calce ad un visto di congedo carcerario, ho voluto regalare nell’anniversario bembiano, una voce italiana in endecasillabi.
Mi farà molto piacere se la ascolterete.

Calandari do ra Famiglia Bosina par or 2025. Settantesima edizione, quella della maturità.
Fra le molte storie splendide presenti di personaggi illustri, la mia potrebbe apparire stravagante, e dichiaratamente lo è.
Proprio per questo le auguro – immeritatamente per me che l’ho scritta, di cuore per lei che l’ha incarnata – la fortuna che merita e mai ha avuta.
Per concludere, i volti del Calandari. Non tutti, ovviamente, ma coloro che sono “cascati” gioiosamente nei miei giullareschi selfie. Grazie! E buon Sant’Antonio a tutti.




- Il Calandari do Ra Famiglia Bosina par or 2025, che ringrazio di cuore per aver accolto come da diversi anni a questa parte una mia storia, è stato ufficialmente presentato a dicembre in due occasioni: la cena sociale del 6 dicembre della Famiglia Bosina e il 15 dicembre, giorno di luna piena, incredibilmente proprio il giorno di Maria, all’ANCE di via Cavour. Diretto dal mio carissimo Carlo Zanzi, giornalista e romanziere, è disponibile alla libreria antiquaria Canesi di via Walder e alla Ubik della centralissima Piazza del Podestà, uno dei luoghi principali dove si snoda la storia di Maria. ↩︎
- Per la precisione era il 15 dicembre 2021. ↩︎