Caterina e Marcellino: una storia per il Duca

Dalla lettera del 10 aprile 1769 del Ministro Malagoli al Duca Francesco III

Cari lettori,

l’amicizia è qualcosa di fondamentale nella nostra vita. Rischiara le giornate, ci fa sentire preziosi, dona serenità e certezze, cammina insieme a noi.

L’amicizia si può dimostrare in tanti modi, ed è essa stessa un dono. Quella fra il conte Malagoli e il Francesco III, signore di Varese dal giugno del 1765, forse non è molto conosciuta, anzi direi proprio per niente: sta di fatto che il duca d’Este si fidava di pochissime persone, e sceglieva i suoi ministri proprio fra i suoi intimi amici.
Il commissario Malagoli se l’era portato da Modena nella sua nuova villa di delizia varesina, che aveva acquistato dal ricco commerciante Tomaso Origone ristrutturandola a puntino secondo un estro “esotico” ammiccante ai giardini viennesi della cugina Maria Teresa d’Austria (che per ringraziarlo del sostegno militare ripetuto negli anni lo aveva omaggiato prima del governatorato di Milano e, a seguire, della signoria nella città di cui, essendo sovente ospite del marchese Menafoglio in quella meraviglia della sua villa di Biumo Superiore che tutti conosciamo, si era perdutamente innamorato).

E però, dovendo attendere ancora per un paio di anni alle faccende milanesi (che non vedeva l’ora di sbolognare al nipote acquisito Ferdinando, figlio dell’imperatrice) prima di potersi godere il buen retiro nella città prealpina, e avendo peraltro qualche grattacapo da gestire pure nella sua patria d’origine, in realtà i primi anni andava e veniva dal feudo di Varese, che appunto aveva lasciato sotto la sorveglianza del fido Malagoli. Il quale gli scriveva fittamente dei fatti che si susseguivano alla Campagnola, come veniva chiamato i primi tempi quello che oggi indichiamo come Palazzo Estense, che durante gli anni ducali prese il nome di Palazzo La Corte: tale appellativo rimase sino al febbraio 1882, quando divenne sede ufficiale del Municipio dopo essere stato venduto al Comune dall’ex sindaco Cesare Veratti, ritiratosi in un’ala privata per gli ultimi anni della sua vita. (Da notare che il trasferimento della giunta non avvenne subito ma solo alla fine dell’anno per resistenze interne, ma di questo parleremo un’altra volta, perché altrimenti, come al solito, ed è un grave mio difetto, perdo il filo del discorso e mi metto a raccontare cose che non c’entrano niente con la storia principale!).

Francesco III, per la Grazia di Dio duca di Modena, Reggio, Mirandola, signore di Varese, etc etc etc

Sta di fatto che un 10 di aprile del 1769, essendo appunto il Duca impegnato in faccende non varesine, il Malagoli, conoscendone bene l’animo malinconico, benché libertino e sentimentale, pensa bene di sollevargli il morale rendendolo edotto dell’evolversi di una situazione piccante occorsa a Corte qualche giorno prima: immaginiamoci perciò il nostro Este che legge la missiva con un calice di buon Pignoletto di sua produzione, seduto alla sua magnifica scrivania intarsiata milanese, alla luce del candelabro dorato che si era portato dallo stanzino d’oro del palazzo ducale a Modena, mentre attende l’ingresso nell’alcova della splendida terza moglie e seconda morganatica, Teresa d’Harrach. Il gaudente Francesco, detto per inciso, era novello sposo alla fresca età di 60 anni, portati con l’estro passionale e il fascino complicato e un po’ retrò dei nati sotto l’egida del Cancro: e i ritratti che possediamo, se non parlano proprio di un Adone, ci raccontano di un uomo intrigante e dal carattere in perenne, difficile equilibrio fra la lacrima e il riso. Non son cose che si sanno, ma Francesco aveva perso la mamma da bambino ed era stato allevato ai doveri di regnante con estrema severità dal padre Rinaldo, cardinale spretato per salvare la seconda volta la casata estense dall’estinzione; si era poi sposato la prima volta con una donna che portava il nome della madre, Carlotta, e che lo aveva fatto enormemente soffrire; e benché si fosse ampiamente riscattato nei panni militari di straordinario condottiero e sovrano magnanimo e illuminato, era rimasto sempre succube del fascino femminile e pronto a qualsiasi cosa pur di compiacere una donna di cui si fosse invaghito, sentimentalmente o umanamente (ma anche questa è un’altra storia e in questo momento il mio Duca, ovvero il mio datore di lavoro negli archivi da due anni a questa parte… ne riparleremo, non mi permette di andare oltre. Scusatemi).

In buona sostanza cosa era successo? Ve la faccio breve, col consenso di F III: la giovane e bella moglie del giardiniere, di nome Caterina, insofferente alla monotonia domestica e di temperamento ribelle, l’estate precedente si era presa una sbandata per un certo Marcellino Segre, un buon giovanotto che aiutava il marito nella sistemazione del parco che si stava allestendo – vedi sopra – alla viennese; i due, dopo varie vicissitudini e richiami all’ordine, erano scappati, prima l’uno poi l’altra, a Milano con la complicità di un tale prete Bolchino; e al giardiniere devastato dal dolore – il quale, per dirla tutta e non prendere per forza le parti dell’uno o dell’altra, giacché in certe cose le responsabilità sono sempre di entrambi e mai di uno solo, si teneva in casa suo fratello scapolo e obbligava la giovane moglie a far dietro anche a lui – non era rimasto che dedicarsi ai suoi magnifici fiori per dimenticare l’amore perduto. E chi meglio del duca che aveva tanto sofferto per amore di donne esuberanti e capricciose, e fino all’ultimo ne avrebbe sofferto, avrebbe potuto capirlo, e provarne compassione?

Palazzo Estense a Varese e i suoi giardini fioriti

Ma la bella Teresa sta facendo il suo ingresso, in vesti lunari e profumata di viole, nella stanza nuziale. Il Duca ammira la cassettina degli omaggi floreali, giunti intatti nella frescura di una corsa notturna in carrozza da Palazzo: e le corolle odorose gli piacciono tanto quanto – ahinoi – le canne delle armi e le belle donne. Gli effluvi si intrecciano, e non ci è dato di proseguire il racconto se non con il pensiero, sperando di aver raccontato un Duca inedito e di aver fatto venir la voglia al lettore di leggere ancora di lui.

(Dalla documentazione conservata presso l’Archivio di Stato di Modena, da me personalmente consultata nello scorso settembre. Busta 52, Atti di Corrispondenza varia relativi all’Amministrazione in Varese.

Ne approfitto per mandare un affettuoso saluto agli archivisti, preziosi e cari, che spero di rivedere presto per proseguire certe indagini preziose…)

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